Fondazione Capellino, proprietaria del marchio di petfood Almo Nature, annuncia la costituzione di una commissione tecnica per analizzare e proporre una riforma della legge sulla caccia, ma continua a non rispondere alle domande di Fondazione UNA che potrebbero rivelare il maldestro tentativo di farsi pubblicità, a spese dei cacciatori attraverso la campagna “Niente giustifica la caccia” , lanciata lo scorso ottobre.
L'evidenza è tuttavia già all’interno dei materiali ufficiali dell’azienda che "dichiara di utilizzare, per alimentare il suo business, carni di pollo, tacchino, manzo, agnello, maiale e perfino cinghiale, quest’ultimo proveniente da scarti di attività venatoria”, come comunica la stessa Fondazione UNA, che prosegue: "il 56% di queste carni, inoltre, si dichiara provenire da paesi extra UE, in particolare dalla Thailandia".
Dunque Almo Nature è contro la caccia, ma per le proprie produzioni impiega carni animali e persino scarti di attività venatoria. Non c'è forse contraddizione e anche ipocrisia? Da che pulpito si erge a paladina degli anticaccia con i suoi slogan pubblicitari?
Sugli altri interrogativi che rimangono senza risposta, Fondazione UNA intende rilanciare: quanti di questi animali uccisi utilizza Almo Nature per fare business? Quali sono gli standard sanitari riconosciuti per petfood di provenienza extra UE, come la Thailandia? Fondazione UNA continua ad attendere una volta per tutte che sia fatta chiarezza e che non si continuino a creare fallaci diversivi contro la caccia per nascondere le verità di un business che, a conti fatti, potrebbe rilevarsi essere poco etico.
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